sabato 7 luglio 2012



PER UN PROGRAMMA DI RIVOLUZIONE
NELLE LOTTE E ALLE ELEZIONI
“Fare Syriza anche in Italia” è diventato formalmente il coro polifonico che va da Sinistra Critica agli innamorati delusi della prima ora del governo Monti (Marco Revelli), passando per la FDS e persino per SEL. Naturalmente la stessa evocazione maschera spesso significati diversi. E nella maggior parte dei casi il richiamo a Syriza allude a intenti e proposte che stanno in realtà ben più “a destra” di Syriza. C'è chi evoca la “minaccia” di Syriza per provare a negoziare al meglio la ricomposizione col PD (SEL e buona parte della FDS); chi invoca Syriza per proporre il “blocco progressista” con la IDV populista e una parte dei sindaci del centrosinistra, dopo essere stato scaricato (nazionalmente) dal PD (PRC); chi vede in Syriza la forma finalmente scoperta della “sintesi” tra “sociale e politico” (da versanti diversi Alba e una parte di Sinistra critica), o più semplicemente un marchio elettorale “antipartito” competitivo col grillismo. E' bene allora approfondire innanzitutto la realtà di Syriza, al di là del suo mito. Per poi tornare al confronto interno alla sinistra italiana.

Lo sfondamento elettorale di Syriza non è dovuto al suo programma in quanto tale o alla sua forma federativa, ma all'ascesa straordinaria negli ultimi anni del movimento di massa in Grecia a fronte della catastrofe sociale. In Italia la crisi del movimento di massa (e la subalternità delle sinistre al PD) ha spianato la strada al grillismo. In Grecia l'ascesa prolungata di massa ha usato Syriza come proprio canale di espressione: contro tutti i partiti dominanti, compromessi direttamente nella rapina, e a fronte di un KKE stalinista arcisettario vocato a una politica di divisione del movimento in funzione della propria autoconservazione d'apparato. Così una formazione che sino a due anni fa era a rischio di estinzione è stata sospinta sulla cresta dell'onda da una brusca svolta della lotta di classe.

Ma il programma di Syriza corrisponde alla gravità abissale della catastrofe greca e alla crisi drammatica dell'Unione Europea? Questo è il punto. Syriza certo respinge il memorandum della Troika e per questo ha raccolto il voto della rivolta. Ma parallelamente il suo gruppo dirigente difende l'Unione Europea; rivendica il principio della “rinegoziazione del debito” verso le banche, contro la sua abolizione; propone il “controllo pubblico” sulle banche private (come il Front de Gauche), contro la loro nazionalizzazione senza indennizzo; difende persino l'appartenenza della Grecia alla Nato. Insomma: nel mentre raccoglie elettoralmente il vento della ribellione, Syriza si sforza (invano) di rassicurare le classi dirigenti nazionali ed europee circa la propria volontà di rispetto delle compatibilità strutturali di sistema; e questo proprio nel momento storico in cui tutte le esigenze sociali del popolo greco sono incompatibili col sistema capitalista.

Questa è la contraddizione di fondo che l'ascesa di Syriza trascina con sé, e che i comunisti rivoluzionari greci (EEK) -legati al PCL - incalzano e incalzeranno nella comune azione di massa: fuori dal settarismo stalinista del KKE, ma contro ogni adattamento a una nuova socialdemocrazia di sinistra.

Tutto questo ripone coi piedi per terra il confronto interno alla sinistra italiana: che deve partire dall'analisi della svolta d'epoca che ci attraversa, non dalle elezioni del 2013 o dalla mitologia di Syriza.

Guardiamo in faccia la realtà. La Grecia è la metafora dell'Europa. Non siamo di fronte alla crisi del “modello liberista”. Siamo di fronte al fallimento del capitalismo, e alle sue ricadute sociali devastanti. Tutti i miti alimentati per anni dai gruppi dirigenti del riformismo italiano (Jospin, Prodi, Zapatero...) sono stati spazzati via dalla realtà. Non vi sono compromessi riformatori all'orizzonte. Non vi sono borghesie “buone” e democratiche con cui realizzare “equilibri più avanzati”. Non vi è una possibile “Europa sociale e democratica” dentro la camicia di forza dell'Unione Europea e del capitalismo europeo. Continuare a vagheggiare queste illusioni utopiche significa nel migliore dei casi disarmare l'alternativa e le stesse lotte di resistenza sociale; nel peggiore predisporsi a nuove corresponsabilità di governo contro i lavoratori.

La verità è che il capitalismo non ha più nulla da dare ma solo da togliere agli sfruttati, chiunque governi; che l'Unione Europea si regge sul patto (faticoso) di mutuo soccorso tra le banche e i loro governi di ogni colore, pagato dalla distruzione progressiva di ogni conquista sociale; e che solo una rottura anticapitalistica e rivoluzionaria può liberare una svolta per i lavoratori e le masse oppresse. Di fatto, governi dei lavoratori e Stati Uniti Socialisti d'Europa sono l'unica prospettiva storica di progresso per il vecchio continente.

Certo, le grandi masse non hanno consapevolezza di questa verità e spesso anzi registrano un arretramento profondo della propria coscienza politica. Ma il dovere dei comunisti è di elevare la coscienza al livello della verità, non di rimuovere la verità per adattarsi alla coscienza data. O addirittura per nutrirla di nuove illusioni. Anche perché la profondità della crisi capitalistica europea delinea un bivio drammatico di prospettiva: lo sviluppo di una massa critica di populismo reazionario in Europa senza precedenti nel dopoguerra, ci dice che una mancata soluzione anticapitalista della crisi sociale può liberare i più cupi fantasmi del passato. Rivoluzione o reazione, questo in definitiva è il futuro dell'Europa.

E allora l'interrogativo che ci riguarda è d'obbligo: possiamo costruire una sinistra rivoluzionaria, che sia all'altezza di un livello di scontro storicamente nuovo? Possiamo confrontarci su come realizzare una svolta unitaria del movimento operaio italiano, delle sue forme di lotta, delle sue forme di organizzazione, dei suoi programmi, che sia tanto radicale quanto radicale è l'aggressione al lavoro e la crisi del capitale? Possiamo confrontarci su come connettere ogni lotta (sociale, ambientale, antirazzista, anticlericale) alla prospettiva della rivoluzione sociale e di un governo dei lavoratori, quale unica vera alternativa alla crisi del capitalismo italiano, della seconde Repubblica, della UE?

Caro compagno Ferrero: se la proposta più “radicale” oggi in campo a sinistra - magari nel nome improprio di Syriza - resta quella di un blocco con la IDV di Di Pietro e Orlando, che vota il pareggio di bilancio in Costituzione e sostiene il reato di immigrazione clandestina, il messaggio non è incoraggiante. Tanto più se parallelamente si continua a restare nelle giunte locali a braccetto col PD e magari con la UDC (come in Liguria) tagliando ospedali e massimizzando l'IMU.

Lo spazio del doppio binario tra parole e cose, tra poesia e prosa, si è chiuso. Il PCL è disponibile incondizionatamente, come sempre, alla massima unità d'azione nelle lotte contro governo e padroni. Ma non a sacrificare il programma anticapitalista del governo dei lavoratori e la sua libera presentazione di massa: in primo luogo nelle mobilitazioni, e di riflesso alle elezioni.

06.07.2012

Marco Ferrando
Portavoce nazionale del PCL